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La Reperibilità può costare il posto. Anche ai Primari

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La Reperibilità può costare il posto. Anche ai Primari
(Last Updated On: 4 settembre 2019)

ILbene del cittadino-paziente è ciò che si deve preservare, in assoluto ed in nessun caso gli interessi degli operatori sanitari devono prevalere, neanche quelli dei responsabili di unità operativa.

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n.18883/19 ha affermato che è legittimo il licenziamento del medico che, essendo inserito nel turno di cosiddetta reperibilità, avrebbe dovuto recarsi senza ritardo in reparto e visitare il malato, proprio per accertare, personalmente e in ragione delle proprie competenze, lo stato della situazione rappresentatagli e adottare tempestivamente le misure ritenute del caso.

La contestazione disciplinare riguarda la violazione del Codice di Comportamento delle pubbliche amministrazioni (D.M. del 28 novembre 2000), che ribadisce gli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa, con obblighi di evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione.

L’impegno contrattuale prevede di adempiere ai propri compiti e competenze nel modo più semplice ed efficiente, nell’interesse primario dei cittadini, assumendo le responsabilità connesse ai propri compiti, senza ritardare, affidando per esempio ad altri dipendenti il compimento di attività e decisioni di propria spettanza.

La contestazione disciplinare non è formulabile come l’accusa del processo penale, assolvendo solamente alla funzione di consentire, all’incolpato, di esercitare pienamente il diritto di difesa, dovendo essere valutata in modo autonomo, rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale.

Il Fatto.  L’Azienda datore di lavoro aveva licenziato (per giusta causa) il responsabile di U.O. di Urologia a seguito del lasso di tempo, dalle 22,30 alle 1,30, intercorso tra la chiamata dello stesso da parte degli infermieri di reparto ed il suo intervento, pur essendo stato informato di una grave sintomatologia legata a problemi postoperatori.

Il paziente era stato operato di prostatectomia radicale (in laparotomia) nel pomeriggio ed il ritardo del responsabile aveva condizionato la seconda operazione, alla quale si era giunti per il peggiorare (sanguinamento drenaggio) della situazione postoperatoria. Il solo medico di prima reperibilità non poteva attivare la camera operatoria ed eseguire l’intervento. Il ritardo nell’arrivo in ospedale del Responsabile, si era poi sommato ad altre due ore e mezza di attesa del secondo intervento, con exitus del paziente.  La sentenza penale di assoluzione, regolata dall’art. 653 del Codice di procedura penale, non è stata giudicata pertinente per il pronunciamento in oggetto.

Prendendo in considerazione la posizione del lavoratore nell’Azienda, il grado di assolvimento delle mansioni affidategli, anche in relazione alla specifica vicenda (capo equipe e dirigente dell’Unità Operativa di Urologia), dunque facendo applicazione anche del principio di proporzionalità, in relazione alla clausola generale della giusta causa, la Corte, applicando correttamente i principi enunciati in materia, ha valutato la legittimità e congruità della sanzione inflitta.

Tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con accertamento dei fatti e successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva, sorretta da adeguata e logica motivazione, il giudice ha affermato che il comportamento di un medico costituisce violazione di  specifici obblighi e, con essi, dei più generali doveri di diligenza e buona fede.

Questi, dopo avere eseguito un delicato intervento chirurgico ed in servizio di reperibilità (sia pure come seconda reperibilità), avendo avuto contezza sin dalla h.22,30 dell’esistenza di una gravissima sintomatologia, che indicava l’esistenza di problemi post-operatori e, segnatamente, dell’esistenza di una consistente emorragia in corso (forte ipotensione, fuoriuscita di sangue dal drenaggio, continue trasfusioni ed  arresto respiratorio ed intubazione del paziente), ha  ritardato di ben tre ore il proprio arrivo in ospedale.

La Corte sottolinea anche l’autonomia tra il procedimento penale, concluso con l’assoluzione in relazione all’imputazione di omicidio colposo e il procedimento disciplinare, la cui contestazione non consisteva nell’aver cagionato la morte del paziente.

Prendere “sottogamba” la reperibilità può costare il posto di lavoro, anche (e soprattutto) ai primari.

BIBLIOWEB:

Corte di Cassazione Civile Ordinaria, sez. L, sentenza n. 18883/19 (in PDFallegato)
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 Corte di Cassazione Civile Ordinaria – Sezione Lavoro – Sentenza n. 18883/2019 (PDF)

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Francesco Bondanini

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