
stadio precoce – in Italia il 77% dei pazienti non riceve la diagnosi
Lamalattia renale cronica (MRC) può essere una condizione grave e progressiva definita dalla diminuzione della funzione renale (dimostrata attraverso una riduzione del filtrato glomerulare stimato (eGFR) o dei marcatori di danno renale, o entrambi, per almeno tre mesi). Le cause più comuni della MRC sono il diabete, l’ipertensione e le glomerulonefriti. La malattia renale cronica è associata a significative comorbidità e ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, come HF e morte prematura. Nella sua forma più grave, nota come malattia renale allo stadio terminale, il danno renale e il deterioramento della sua funzione, progrediscono fino allo stadio in cui sono necessari la dialisi o il trapianto di reni. La maggior parte dei pazienti affetti da MRC muore per cause CV prima di raggiungere la forma ESKD (End-Stage Kidney Disease, anche End-Stage Renal Disease ESRD).
La MRC è una condizione clinica ad alta prevalenza benché significativamente sotto-diagnosticata, anche nei pazienti con fattori di rischio noti e che possono causarne l’insorgenza, come diabete, ipertensione e scompenso cardiaco. In particolare, in Italia, ben il 77% dei pazienti con questa patologia in stadio precoce (Stadio 3) resta non diagnosticato. Già in occasione della Kidney Week 2022 del “American Society of Nephrology” (ASN), ad Orlando (Florida, Stati Uniti), sono stati presentati i dati sull’importanza dello screening e della diagnosi precoce della MRC.
Colpisce 850 milioni di persone in tutto il mondo, con una prevalenza in aumento. Nella stragrande maggioranza dei casi non viene diagnosticata. I dati dello studio multinazionale REVEAL-CKD hanno mostrato tassi elevati di sotto-diagnosi, dal 61,6% al 95,5%, nei Paesi considerati nello Studio (Stati Uniti, Italia, Germania, Giappone e Francia).
Per la valutazione di pazienti con velocità di filtrazione glomerulare (eGFR) compresa tra ≥30 e <60 mL/min/1,73 m2, (MRC Stadio 3), privi di precedente diagnosi di malattia, sono state analizzate le cartelle cliniche elettroniche ed i database specifici per ogni Paese. Questa analisi ha dimostrato che, una volta effettuata la diagnosi, i pazienti sono stati monitorati e trattati tempestivamente e coerentemente con quanto indicato dalle Linee Guida.
L’importanza di porre una diagnosi precoce di MRC appare evidente dall’impatto, che una volta posta, ha sul declino annuale della funzionalità renale. Lo studio REVEAL-CKD ha valutato, infatti, la variazione di eGFR prima e dopo l’avvenuta diagnosi di MRC in una coorte di 27.000 pazienti del database americano TriNetX. Questi soggetti mostravano un declino mediano dell’eGFR, nei due anni precedenti la diagnosi di malattia, di – 4,12 (Confidence interval [CI] 95%: -4,23/ -4,02) e solo di -0,30 (CI 95%: -0,44 / -0,14) nei due anni successivi alla diagnosi.
Nell’analisi italiana dello stesso studio, sono stati valutati dati clinici estratti da cartelle cliniche elettroniche di 900 medici di medicina generale e da database amministrativi, per un totale di 1,2 milioni di pazienti (nel periodo 2015-2021). La coorte di studio ha incluso 65.676 pazienti, di cui il 58% donne. La prevalenza complessiva di MRC non diagnosticata è stata pari al 77%. I dati dello confermano la necessità di uno screening precoce per una diagnosi tempestiva, già nei suoi stadi iniziali, in modo che il maggior numero di pazienti possa ricevere una gestione e trattamento ottimali, aderenti alle linee guida, così da prevenirne o ritardarne la sua progressione.
La diagnosi precoce di MRC è cruciale nel rallentare il progressivo declino della funzionalità renale. Rimane purtroppo ampiamente sotto-diagnosticata. L’analisi italiana sottolinea l’alta percentuale di pazienti con MRC in stadio 3, non diagnosticata; in particolare pazienti di età superiore ai 65 anni e di sesso femminile, in presenza di comorbidità quali diabete, scompenso cardiaco ed ipertensione arteriosa.
In aggiunta ai bisogni clinici non soddisfatti, i costi sanitari associati alla MRC sono altamente significativi, specialmente quando progredisce ai suoi stadi terminali con l’insorgenza di eventi cardiorenali. Lo studio INSIDE-CKD ha stimato il risparmio economico dei costi diretti delle cure mediche derivanti da una minore incidenza di eventi clinici, mostrando come il “dapagliflozin” possa ridurre in modo significativo l’utilizzo delle risorse sanitarie, ritardando la progressione di MRC e riducendo l’incidenza degli eventi cardiorenali.
Dapagliflozin è un farmaco appartenente alla classe degli inibitori selettivi del co-trasportatore renale di sodio e glucosio (SGLT2). Richiede una mono somministrazione giornaliera orale. Studi clinici ne hanno dimostrato l’efficacia nel prevenire e ritardare la malattia cardiorenale, proteggendo allo stesso tempo questi stessi organi: un risultato importante, date le connessioni tra cuore, reni e pancreas. Una patologia a carico di uno di questi organi può causare un danno per gli altri apparati, contribuendo allo sviluppo di alcune tra le principali cause di morte a livello globale, come ad esempio il diabete mellito di tipo 2 (T2D), l’insufficienza cardiaca (HF) e la malattia renale cronica (CKD).
Dall’analisi aggregata di 23 Paesi, inclusa l’Italia, è stato dimostrato che su 100.000 pazienti trattati con dapagliflozin, in aggiunta al protocollo di base e rispetto al solo standard di cura, si può ottenere una riduzione del 33% dei costi, con un risparmio di 205 milioni di dollari, in tre anni. Un’ulteriore analisi dei dati dello studio DAPA-CKD, presentati al ”ASN Kidney Week” ha mostrato come lo stesso farmaco abbia ridotto significativamente il tasso di ospedalizzazione per tutte le cause, tra i pazienti con MRC, con o senza diabete mellito di Tipo 2 (T2D). Questi risultati dimostrano le implicazioni non solo sulla qualità di vita dei pazienti, ma anche sull’onere sanitario complessivo della MRC.
DAPA-CKD è uno studio internazionale, multicentrico, randomizzato e in doppio cieco che include 4.304 pazienti, disegnato per valutare l’efficacia di dapagliflozin 10 mg, rispetto al placebo, in pazienti affetti da malattia renale cronica in stadio da 2 a 4 e con escrezione urinaria di albumina elevata, con o senza diabete di tipo 2. Il farmaco è stato somministrato una volta al giorno, in aggiunta allo standard di cura. L’endpoint composito primario, indicativo del peggioramento della funzione renale o rischio di morte, è stato assunto come endpoint composito, con declino dell’eGFR ≥50%, insorgenza di malattia renale allo stadio terminale e morte per cause cardiovascolari o renali. L’endpoint secondario ha incluso il composito di morte per causa cardiovascolare o ospedalizzazione per HF (hHF) e la morte per tutte le cause. Lo studio è stato condotto in 21 Paesi ed i risultati dettagliati sono stati pubblicati sul “The New England Journal of Medicine”.
In Europa, dapagliflozin appare indicato in pazienti adulti e in bambini dai 10 anni di età in su, quando non adeguatamente controllati per diabete mellito di tipo 2, in aggiunta alla dieta e all’esercizio. In questo setting, il farmaco è indicato in monoterapia, se l’impiego di metformina è ritenuto inappropriato a causa di intolleranza, oppure in aggiunta ad altri medicinali per il trattamento del diabete di tipo 2. Inoltre, dapagliflozin sembra possa avere indicazione, negli adulti, per il trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica sintomatica, con frazione di eiezione ridotta (HFrEF) e per il trattamento della malattia renale cronica (CKD), secondo quanto desunto dagli studi di Fase III DAPA-HF e DAPA-CKD.
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- L’esame urine siamo noi https://newmicro.altervista.org/?p=4251
- Luci ed ombre, per il laboratorio, nella nefropatia diabetica https://newmicro.altervista.org/?p=2870
- Linee Guida Esame Urine: propone GIAU https://newmicro.altervista.org/?p=1121
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