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Diabete: cosa si dice in Europa ed in Italia

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Diabete: cosa si dice in Europa ed in Italia
(Last Updated On: 4 ottobre 2015)

Dati Istat del 2014, 3.200.000 i diabetici in Italia (5,4% della popolazione), statisticamente coinvolge una famiglia su sei.

Il prossimo Il 4 ottobre è la trentunesima Giornata Nazionale Diabete: organizzata dal FAND (Federazione Associazione italiana Diabetici).

Nello scorso settembre si è tenuto a Stoccolma il congresso europeo di diabetologia (European Association for the Study of Diabetes, EASD).
Proviamo a sintetizzare per punti lo stato dell’arte sul diabete emerso durante questo convegno.

DIABETE & DEMENZA L’analisi dei dati di un ampio registro svedese di pazienti con diabete (circa 350 mila pazienti con diabete di tipo II) suffraga il dato che se mal controllato, Il diabete aumenta del 50% il rischio di demenza (presentano un rischio superiore del 50% di essere ricoverati in ospedale per una forma di demenza, rispetto a chi i valori di glicemia li tiene sotto controllo).
I soggetti arruolati nello studio erano tutti quelli registrati nel Registro Nazionale Diabete Svedese (gennaio 2004/ dicembre 2012, senza una precedente diagnosi di demenza.
Sono stati seguiti fino alla comparsa di un ricovero per demenza, morte o fino al termine naturale del follow up ( 31 dicembre 2012).
Per correlare il dato della emoglobina glicata, al rischio di demenza è stato utilizzato un algoritmo in grado di effettuare anche aggiustamenti per una serie di altre variabili quali età, sesso, durata del diabete, stato maritale, guadagno, livello di istruzione, abitudine al fumo, indice di massa corporea, terapia con statine, funzione renale, tipo di farmaci antidiabetici assunti, albuminuria, fibrillazione atriale, pressione sistolica, ictus e farmaci antipertensivi.
I Pazienti avevano un’età media di 67 anni all’inizio dello studio; 11.035 di loro (3,2%) sono stati ricoverati in ospedale con diagnosi di demenza durante i 4,6 anni di durata media del follow up.
I soggetti con glicata pari o superiore al 10,5% presentavano un rischio di demenza maggiore del 50%, rispetto a quelli con una glicata di 6,5% o anche inferiore.
Chi aveva presentato un ictus in passato, presentava inoltre un rischio del 40% più alto di sviluppare demenza.

La correlazione tra valori di glicata e rischio di demenza in questo gruppo di pazienti sottolinea la possibilità di prevenire la comparsa di demenza, con un accurato controllo dei valori di glicemia.

DIABETE & CUORE Il diabete è un fattore di rischio particolarmente aggressivo per il cuore delle donne, determinando un gap di genere tradotto in un rischio maggiorato per le donne del 35-40% rispetto agli uomini.
Due studi di grande rilevanza condotti in Italia e in Cina chiariscono i termini.
Lo studio italiano è dell’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, che ha esaminato (retrospettivamente) i dati dal 2005 al 2012, di una coorte di persone con diabete residente in regione, confrontando l’effetto dell’invecchiamento sul rischio di ricovero per infarto, ictus e scompenso cardiaco, tra i due sessi.
Sono stati presi in esame dati relativi a circa 3,2 milioni di abitanti, dai 16 anni in su (il 47% ?).
In questo periodo ci sono stati 24.604 ricoveri per infarto (16.251 nei ? e 8.354 nelle ?), 26.953 per ictus ischemico (14.848 ?e 12.105 ?), 17.628 per scompenso cardiaco (8.403 ?e 9.225 ?).Stratificando la popolazione per decadi di età, le donne con diabete ricoverate per infarto mostravano un eccesso di rischio nettamente superiore a quello dei maschi con diabete a tutte le età; la differenza più marcata riguarda la decade 45-54 anni, ove il rischio di infarto correlabile alla condizione diabetica è risultato superiore di 5,83 volte per le donne e di 2,88 volte per gli uomini. La metanalisi cinese della Southeast University di Nanchino conferma, su 19 studi, (11 milioni di pazienti), ha dimostrato che le donne con diabete hanno un rischio aumentato del 40% di andare incontro a sindromi coronariche acute (infarto e angina), rispetto ai maschi con diabete.
Gli studi considerati erano di tipo caso-controllo (9) o di coorte (10) e sono stati condotti in Nord America (5), Europa (7), Asia (6).

Una ‘finestra di rischio’ legato al genere, che per le donne si apre in età perimenopausale (dai 45 anni in su).

DIABETE & GRAVIDANZA E’ noto da tempo che il diabete è una condizione frutto del mix derivante fattori genetici e ambientali; di questi ultimi fanno parte i pesticidi, con un ruolo nella patogenesi della malattia che potrebbe essere più pesante di quanto supposto.
Due studi greci lanciano l’allarme.
Il primo (dell’Università di Ioannina e dell’Imperial College di Londra) ha realizzato una vasta metanalisi condotta su oltre 66 mila soggetti, che dimostra un rischio di diabete del 61%.
Esaminata l’associazione tra i vari tipi e l’esposizione a pesticidi (21 studi osservazionali con un totale di 66.714 persone, 5.066 casi e 61.648 controlli).
In quasi tutti gli studi, il grado di esposizione ai pesticidi (clordano, ossiclordano, trans-nonachlor, DDT, DDE dieldrina, eptacloro e HBC) è stato determinato attraverso il dosaggio di biomarcatori plasmatici o urinari
Il secondo studio su diabete in gravidanza e pesticidi, Mother-Child Cohort (“Rhea” cohort – Università di Creta), ha esaminato in maniera prospettica un campione di donne in gravidanza.
Hanno determinato le concentrazioni di diversi PCB, DDE e HCB nel siero materno (spettrometria di massa), durante il primo trimestre di gravidanza.
Tutte sono state poi sottoposte a screening per diabete gestazionale (GDM) tra le 24 e le 28 settimane di gravidanza.
Individuate 68 donne ( 7%) con GDM; i dati hanno evidenziato che un’esposizione 10 volte maggiore ai PCB si associava ad un aumento di rischio di 4,4 volte di diabete gestazionale.
L’esposizione a DDE e HCB prenatale non risultata invece associata in maniera significativa al rischio di GDM.
Osservazione importante da un punto di vista di salute pubblica perché supporta l’ipotesi che l’esposizione a diversi tipi di pesticidi aumenti il rischio di diabete.
L’analisi separata dei singoli pesticidi suggerisce che alcuni diano un contributo maggiore di altri nello sviluppo del diabete.

I Persistent Organic Pollutans (POPs) sono sostanze, che comprendono i bifenili policlorinati (PCB) e i pesticidi organoclorurati, non biodegradabili e presenti ovunque nell’ambiente.
L’esposizione a interferenti endocrini (come i POP) è stata collegata al rischio di diabete e alterazioni metaboliche già in passato (studi su animali ed epidemiologici) poco si conosce degli effetti derivanti dell’esposizione ai POP in corso di gravidanza.
I PCB sono stati impiegati in diversi processi industriali.
Il DDE (dicloro-difenil-dicloroetene, catabolita del DDT) e l’esaclorobenzene (HCB) sono sostanze chimiche di sintesi, ampiamente utilizzate come pesticidi; Queste sostanze sono state ormai bandite da decenni, ma continuano a persistere nell’ambiente e si accumulano nel corpo degli animali e anche dell’uomo.

Il diabete gestazionale è in aumento in diversi Paesi del mondo.

DIABETE & PRIMA DIAGNOSI Lo studio VNDS (Verona Newly Diagnosed type 2 Diabetes Study) caratterizza in dettaglio le componenti che contribuiscono a determinare il diabete di tipo 2 nel momento stesso in cui viene diagnosticato, ed è frutto di un lavoro decennale condotto presso la Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo dell’Università di Verona.
700 pazienti (482 ? e 218 ?) arruolati al momento della diagnosi, sono stati sottoposti ad un test del carico orale di glucosio (OGTT), per valutare il grado di secrezione insulinica e ad un test di ‘clamp insulinico’ per misurare il grado di risposta degli organi e tessuti periferici all’insulina.
Sono state dosate le concentrazioni di C-peptide, glicemia e insulina; i dati analizzati con un particolare modello matematico sono stati interpretati utilizzando rispettivamente le banche dati degli studi GENFIEV (GENetica Fisiopatologia ed Evoluzione del diabete di tipo 2) e GISIR (Group of Italian Scientists of Insulin Resistance).
Lo studio dimostra che, fin dal momento della diagnosi, nella maggior parte delle persone sono presenti sia una compromissione della secrezione di insulina che una resistenza alla sua azione a livello di organi e tessuti target periferici.

Evidenza: quello che chiamiamo ‘diabete’ è in realtà una malattia molto eterogenea e che ciascun difetto, preso singolarmente, è in grado di determinare elevate livelli di zuccheri nel sangue.

DIABETE “ACERBO” Dopo tanti allarmi sull’età di comparsa del diabete di tipo 2, un diabetologo americano (Texas) ha presentato un “record” non certo positivo, la bimba aveva 3 anni.
I genitori, entrambi obesi, l’avevano portata presso l’ambulatorio dell’obesità (pesava 35 Kg).
Sottoposta ad una serie di test la bimba era affetta da diabete di tipo 2.
Nata a termine con un peso normale ( 3,2 Kg), in famiglia non c’era familiarità diabetica.
In causa l’alimentazione: trattata con una formulazione liquida di metformina
la piccola è andata progressivamente perdendo peso, fino a riposizionarsi intorno al 75° percentile delle curve di crescita.
La posologia della metformina è stata ridotta del 50% ogni mese, la terapia è stata interrotta quando l’emoglobina glicata è scesa sotto il 5,3%.
E’ stato potenziato anche il livello di attività fisica.
Ai genitori un corso di (ri)educazione alimentare (porzioni ed apporto calorico).

INFEZIONE/ INSULINA OSSIDATA Il diabete di tipo 1 potrebbe essere provocato da una forma di insulina ‘modificata’, derivante dalla normale insulina prodotta dal pancreas, ma ‘arrugginita’ dai radicali liberi dell’ossigeno che si producono nel corso di un processo infiammatorio.
L’insulina ossidata, non più riconosciuta dall’organismo come prodotto autoctono diventa il target degli anticorpi del sistema immunitario che potrebbe contribuire allo sviluppo del diabete di tipo 1 nei bambini.
L’84% dei bimbi con diabete tipo 1 presenta in effetti al momento della diagnosi questi anticorpi anti-insulina modificata dai radicali dell’ossigeno.
Un nuovo test (sensibilità 84% e specificità 99%), sviluppato dall’Università Campus Biomedico di Roma insieme alla Queen Mary University di Londra, individua la presenza di anticorpi rivolti contro queste forme modificate (ossidate) di insulina nel sangue dei pazienti con diabete tipo 1.
Utilizzando una serie di metodiche biochimiche (PAGE, 3D-fluorescence e spettrometria di massa) è stato dimostrato che i radicali dell’ossigeno modificano in maniera significativa la struttura dell’insulina e che le modifiche generate portano alla produzione di anticorpi specifici diretti più frequentemente contro l’insulina ‘modificata’, rispetto alla forma naturale non modificata.

Lo studio dimostra che l’autoimmunità pancreatica può essere indotta da modifiche ossidative dell’insulina.

DIABETE & GRASSI Le cellule staminali del grasso viscerale degli obesi sono particolarmente ‘propense’ all’accumulo di grasso (carenti di due enzimi, SIRT1 e SIRT2).
Si aprono nuove possibilità terapeutiche legate alla riprogrammazione degli adipociti.
Sovrappeso e obesità interessano rispettivamente il 50% e il 20% circa della popolazione adulta in molti Paesi occidentali e rappresentano un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari e metaboliche come il diabete.
Di recente è entrato nell’uso corrente il termine “diabesità” per definire questo quadro metabolico.

BIBLIOWEB:

www.fand.it/

https://www.ars.toscana.it/it/aree-dintervento/problemi-di-salute/malattie-croniche.html

http://www.journals.elsevier.com/journal-of-diabetes-and-its-complications/

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Roberto Testa

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