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Se il Fine Giustifica i Mezzi

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Se il Fine Giustifica i Mezzi
(Last Updated On: 21 novembre 2014)

Clostridium Difficile e trapianto di feci.

Sicuramente ci torna in mente “la pallina con la quale si indovina” o una nota canzone “ma che cos’è questa robina qua?” e i lazzi si sprecavano. In campo medico c’era una volta “l’ultima opzione”, solo per i coraggiosi o i disperati, era il trapianto di microbiota fecale (fecal microbiota transplant, FMT): adesso è ufficialmente raccomandato nelle autorevoli linee guida europee per le infezioni ricorrenti da Clostridium Difficile.
Con l’FMT, il microbiota ottenuto da un campione di feci di un donatore viene trapiantato nell’intestino del ricevente (spesso tramite colonscopia o supposta) dove aiuta a ripristinare l’ecosistema della flora intestinale e superare le conseguenze tossiche dell’infezione da C. difficile . Tale soluzione eradica velocemente l’infezione ricorrente in circa il 90% dei pazienti.
Ora siamo ad una nuova metodica.

Un recente articolo apparso su JAMA, scritto da ricercatori del Massachusetts General Hospital (MGH) di Boston, propone un importante miglioramento operativo nell’esecuzione del “trapianto di microbiota fecale”, l’ultimo ritrovato in tema di terapia per l’infezione da C. difficile.
Si tratta di un trapianto di feci da paziente sano che consente di controllare con buona efficacia i sintomi maggiori di questa grave patologia, in particolare la diarrea.
Le procedure finora utilizzate -colonscopie, sondini naso-gastrici, addirittura clisteri- sono tutte più o meno invasive e sicuramente non gradite o piacevoli per il paziente.
La recentissima disponibilità di capsule orali semplifica grandemente la procedura e la rende praticabile nella popolazione generale.

L’infezione da C. difficile è una malattia invalidante e difficile da trattare.
Negli Stati Uniti, almeno 14.000 decessi sono stati attribuiti al germe, e incidenza e prevalenza della infezione, sia in adulti che in bambini, appaiono in aumento in tutto il mondo.
La terapia standard si base sull’impiego di metronidazolo o vancomicina, ma non sempre è efficace e le recidive arrivano al 30% dopo il primo episodio e addirittura al 60% dopo due o più episodi clinici.

Lo studio ha interessato 20 pazienti, di età compresa tra gli 11 e gli 84 anni con infezioni ricorrenti. Ogni paziente ha ingerito 15 capsule acido-resistenti per 2 giorni di seguito. I pazienti che non rispondevano entro 3 giorni dal primo trattamento assumevano un secondo ciclo di capsule, dallo stesso donatore.
Risultati: 14 pazienti sono completamente guariti dopo un unico ciclo e non hanno avuto recidive nei successivi 2 mesi di osservazione.
Altri 6 hanno avuto bisogno del secondo ciclo: 4 hanno risposto perfettamente; 1 ha recidivato prima di due mesi e 1 non ha risposto neanche al secondo ciclo. In totale, successo terapeutico nel 90% di questo gruppo di studio.

Certamente sono necessari altri studi e maggiori esperienze prima di pronunciare una parola definitiva sull’efficacia e la sicurezza di questo approccio terapeutico ‘inusuale’.
Ma la strade sembra tracciata. “Exitus acta probat” (Ovidio, Heroides), è il fine a giustificare le azioni.

BIBLIOGRAFIA
JAMA. 2014;312(17):1772-1778. doi:10.1001/jama.2014.13875.

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Marco Caputo

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