Una serie di studi fa pensare che il rischio di fratture nell’Anziano dipenda dal livello di infiammazione sistemica.
La associazione tra risposta pro-infiammatoria e una varietà di condizioni croniche associate all’età, come le malattie cardiovascolari, il diabete, la demenza, è conosciuta e studiata da circa dieci anni.
Ora si sta accumulando evidenza di analoga associazione anche per l’osteoporosi e il rischio di fratture nell’adulto.
Sono stati recentemente pubblicati almeno 10 studi osservazionali che si occupano di verificare la connessione tra marcatori di infiammazione e osteopenia con rischio di frattura. La maggior parte di questi studi riguarda soggetti anziani, di sesso femminile e di razza bianca.
Secondo gli epidemiologi dell’Università di Pittsburgh, presso la quale sono state condotte alcune di queste ricerche, è incontestabile che l’incremento in concentrazione di marcatori di infiammazione sistemica si associ ad un incremento del rischio di frattura pari a 1.5 – 2.5 volte rispetto ai soggetti con livelli di marker normali.
Lo studio più recente risale all’aprile di quest’anno ed è stato pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research. Ha interessato quasi 5000 soggetti, seguiti ogni 4 mesi con il dosaggio plasmatico di interleuchina 6 (IL-6) e recettori solubili di Tumor Necrosis Factor (TNF , per un periodo medio di 6.3 anni. Il rischio di frattura si è rivelato essere invariabilmente più alto nei soggetti con concentrazione di marcatori nel quartile più alto.
Un altro elemento emerso riguarda l’associazione con la funzionalità renale, che sembra essere un importante fattore di mediazione nel processo che porta alla frattura di anca.
Il dosaggio della cistatina C ha permesso di concludere che una funzionalità renale compromessa aggrava significativamente l’infiammazione, cosi come una infiammazione estesa peggiora il danno renale e la perdita di osso.
Merita approfondire questa connessione bidirezionale, mediante studi degli effetti di possibili interventi terapeutici su ciascuno di questi fattori. Il marcatore più “utile” tra quelli esaminati sembra essere IL-6, mentre la proteina C reattiva ad elevata sensibilità (hsCRP) sembra giocare un ruolo importante solo a partire da livelli superiori ai 3 mg/L.
Sicuramente sono necessari studi di approfondimento, tuttavia esistono già elementi convincenti per proporre questa associazione come un possibile target di intervento per migliorare gli outcome di questi pazienti, così numerosi e così “fragili”.
RIFERIMENTI
Articoli correlati:
OTT
About the Author
Email: [email protected]