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Licenziamento economico

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Licenziamento economico
(Last Updated On: 4 maggio 2021)

Reintegro obbligatorio se i fatti sono insussistenti

Uno degli aspetti che ha suscitato e suscita contestazioni nel rapporto tra datore di lavoro e dipendenti, è la modalità in essere che, dopo la legge “Fornero”, considera una “facoltà” dell’azienda il reintegro del dipendente, pur se il Giudice accerta la manifesta insussistenza (assenza di giusto motivo) per il licenziamento oggettivo, definito anche “economico”, per ragioni amministrative od organizzative.

La legge esige che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO), sia adottato solo in presenza di circostanze verificabili, in mancanza delle quali il provvedimento può essere impugnato. Sia le ragioni economiche che quelle organizzative, possono autonomamente giustificare il licenziamento. Va notato che il licenziamento per GMO può essere deciso anche in conseguenza della sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore.

Può essere adottato in presenza di periodi di congiuntura economica, crisi finanziarie e crisi specifiche della singola impresa, che può avere esigenza di rimodulare la sua attività, riducendo la produzione o eliminando determinati settori del suo organigramma. Il licenziamento per GMO trova il suo fondamento in ragioni che inducono il datore di lavoro a recedere dal contratto, con uno o più dipendenti. Tale provvedimento si distingue dai licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, che invece sono conseguenti a comportamenti colpevoli o negligenti del dipendente.

Repêchage. In tema di licenziamento per ragioni legate all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro, la giurisprudenza ha elaborato un’ulteriore forma di tutela del dipendente, nota come “obbligo di repêchage”. Consiste nella valutazione, preventiva all’adozione del provvedimento di licenziamento per GMO, della possibilità di ricollocare il dipendente nell’ambito della stessa azienda, ad esempio in un diverso settore, anche con mansioni diverse e di minore rilevanza. La ricollocazione costituisce, in sostanza, un obbligo per il datore di lavoro ogni qual volta sia possibile effettuarla, al fine di scongiurare la conclusione del rapporto.

Tentativo di conciliazione e preavviso. Il licenziamento per GMO deve essere preceduto da apposito preavviso scritto, recapitato al dipendente; in luogo di tale preavviso, può aversi il riconoscimento della relativa indennità sostitutiva. Nelle aziende con requisiti dimensionali maggiori, è obbligatorio esperire anche un tentativo preventivo di conciliazione presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro.

Impugnazione. E’ possibile impugnare il licenziamento per GMO. Il dipendente può agire entro 60 giorni e conseguentemente adire agli uffici del Giudice del Lavoro competente, entro i 180 giorni successivi. In tale sede, sarà il datore di lavoro a dover provare la sussistenza delle ragioni economico-organizzative che hanno portato alla sua decisione.

Dovrà dimostrare anche la relazione di causalità intercorrente tra le motivazioni oggettive e il licenziamento del dipendente, nonché le ragioni che lo hanno portato a scegliere proprio quel lavoratore e l’impossibilità del suo ricollocamento in ambito aziendale, anche con eventuale riferimento alla sua sopravvenuta inidoneità psico-fisica.

Corte Costituzionale. Il Tribunale di Ravenna, nella veste di giudice del lavoro, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli: 3 comma 1, 41 comma 1, 24 e 111 comma 2 della Costituzione. Non solo: agiscono nella stessa direzione gli articoli: 18, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori e la legge n. 300/1970 “nella parte in cui prevede che, in ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza manifesta di un fatto posto a fondamento di un licenziamento per GMO, “possa” e non “debba” applicare la tutela di cui al 4° comma dell’art. 18 (reintegro).”

Per la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi su una questione che riguarda i licenziamenti economici, con la Sentenza n. 59/2021 ha dichiarato illegittimo l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come formulato dalla Riforma Fornero, nella parte in cui prevede che la “reintegra” nel posto di lavoro è contemplata come una facoltà, qualora i fatti siano manifestamente insussistenti.

Violazioni Per il Tribunale di Ravenna il carattere facoltativo della reintegra nei casi di GMO (licenziamento oggettivo, ovvero economico), risulta contrario al principio di uguaglianza sancito dall’art 3 della Costituzione, perché “per effetto di una insindacabile e libera scelta del datore di lavoro di qualificare in un modo o nell’altro l’atto espulsivo, determinerebbe un’arbitraria disparità di trattamento tra situazioni del tutto identiche, ossia il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dei quali si sia accertata in giudizio l’infondatezza (addirittura la manifesta infondatezza per il GMO).”

La disposizione viola altresì l’art. 41 della Costituzione, perché attribuisce al datore di lavoro un potere di scelta meramente imprenditoriale che finisce per tradursi in un autonomo atto di espulsione del lavoratore. La norma risulta lesiva dell’art. 24 della Costituzione, perché il lavoratore, davanti a una facoltà di scelta totalmente discrezionale del datore, non ha alcuna facoltà di difendersi. Infine, la disposizione risulta contraria all’art. 111 della Costituzione, perché il giudice è privato del suo ruolo di terzietà, in quanto finisce per assumere i panni dell’imprenditore e compiere una scelta di gestione dell’impresa.

Significativa la modalità con cui la Consulta è giunta ad una simile conclusione. La Corte Costituzionale accoglie il ricorso, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 18 comma 2 dello Statuto dei lavoratori, nella parte in cui prevede che “il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può altresì applicare (invece che applica altresì) la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma“, che appunto contempla la reintegra del lavoratore.

Nel caso di specie, il ricorrente invoca l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata, che prevede la reintegra del dipendente o il riconoscimento di un’indennità dal licenziamento alla effettiva reintegra, pari a dodici mensilità. Nei licenziamenti economici, la tutela reintegratoria attenuata può essere applicata nelle ipotesi di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.” Il sancire la reintegra come una facoltà, però appare lesivo del principio di uguaglianza, rispetto agli altri tipi di licenziamento, in cui essa è prevista come obbligatoria.

Conseguenze. Va notato che la disciplina normativa del licenziamento per GMO è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, da ultimo con la Riforma Fornero del 2012 e con il c.d. Jobs Act del 2015. La disciplina attuale prevede che, per i dipendenti assunti dopo l’entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act (7 marzo 2015), in aziende con più di 60 dipendenti o unità operative con più di 15 dipendenti, l’illegittimità del licenziamento per GMO possa portare alla reintegrazione del dipendente, nel caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione, quando il licenziamento era stato motivato con la disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2 ult. comma del d.lgs. 23/2015, attuativo del Jobs Act). In tal caso, al dipendente spetta anche il risarcimento del danno.

Il successivo art. 3 del citato decreto 23/15, invece, dispone, al primo comma, che quando venga giudizialmente accertato che non ricorrono gli estremi per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro, alla data del licenziamento, condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità economica (laddove, invece, il successivo secondo comma, prevede il reintegro del dipendente per i casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in cui sia accertata la manifesta insussistenza del fatto materiale contestato).

L’importo di tale indennità è oggi compreso tra le 6 e le 36 mensilità, in virtù degli incrementi apportati dal c.d. Decreto Dignità (d.l. 87/2018, convertito in legge n. 96/2018). Per le aziende di dimensioni inferiori alla soglia sopra esaminata, il licenziamento illegittimo continua ad essere sanzionato con il versamento dell’indennità prevista dall’art. 8 della l. 604/66.

La Consulta dichiara incostituzionale la disposizione che prevede la reintegra nel posto di lavoro, in caso di licenziamento economico, come una facoltà. E’ lecito concludere che nei licenziamenti economici è discriminatoria!

BIBLIOWEB:

Corte Costituzionale – Sentenza n. 59/2021, depositata il 1 aprile (in PDF allegato) https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2021:59
Lavoro e Sorveglianza Sanitaria https://newmicro.altervista.org/?p=7333
TAR & DPO https://newmicro.altervista.org/?p=6488
La Reperibilità può costare il posto. Anche ai Primari https://newmicro.altervista.org/?p=6395

 Corte Costituzionale – Sentenza n. 59/2021, depositata il 1 aprile 2021 (PDF)

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Francesco Bondanini

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