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Eccesso di potere

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Eccesso di potere
(Last Updated On: 10 aprile 2021)

Definizione, idoneità e inidoneità dell’atto amministrativo

Lasegretezza è il perno dell’abuso di potere, la forza abilitante. La trasparenza è il suo unico vero antidoto. Possiamo partire da questi assiomi per definire una delle piaghe della società, alla quale non si sottrae nemmeno la Pubblica Amministrazione (PA). L’eccesso di potere della PA è basato sulle prestazioni fornite da dipendenti a persone che più che come cittadini sono considerate “clienti”, “elargendo e concedendo” la prestazione richiesta o malauguratamente negandola.

Per tale motivo è necessario rivendicare alcuni diritti. Ma quali sono gli strumenti a disposizione del privato quando è leso dal provvedimento amministrativo? Negli ultimi anni il Diritto ha subito radicali mutamenti, derivanti dall’influsso degli innovativi principi dell’Unione Europea e dai molteplici interventi del nostro legislatore.

In particolare, grazie all’introduzione della legge 241/1990 (codice del processo amministrativo) e del D.lgs. n.104/2010, sono state introdotte una serie di tutele e garanzie per il cittadino, nei confronti del potere esercitato dalle P.A. In tal modo, sono stati garantiti i principi della partecipazione, trasparenza, buon andamento e il giusto processo così tutelando pienamente il cittadino, nei casi di comportamento scorretto o illegittimo delle pubbliche amministrazioni.

Eccesso di potere.  In tema di provvedimento illegittimo, una delle categorie emblematiche è l’ipotesi di eccesso di potere. Essa costituisce una peculiare causa di annullamento del provvedimento amministrativo, ex art. 21 octies della legge 241/90, sulla quale si è soffermata la giurisprudenza, sancendo delle ipotesi tipiche tra cui rientra la violazione del principio di proporzionalità.

La tematica dell’annullamento, per eccesso di potere, richiede di essere integrata dall’ulteriore questione della sua sindacabilità dinanzi all’autorità giudiziaria o amministrativa e dal relativo contenuto di tale potere. Diventa necessario dare una definizione di tale vizio e, alla luce delle norme generali sull’azione amministrativa e della sua evoluzione storica, della sua regolamentazione.

La definizione della locuzione “eccesso di potere” è utilizzata per la prima volta nella legge n.371/1877Norme sui conflitti di attribuzione“. Quasi due secoli fa l’eccesso di potere veniva inquadrato come ipotesi di straripamento di potere o di incompetenza assoluta (da parte dell’amministrazione). Aveva così creato un seppure limitato sindacato del giudice riguardante le scelte discrezionali dell’Amministrazione con conseguente procedura di atto pubblico.

Nei primi anni del Novecento, la dottrina e la giurisprudenza hanno fornito una diversa qualificazione giuridica di tale vizio, distinguendola, innanzitutto, dalle ipotesi di incompetenza e violazione di legge. Si ha incompetenza relativa quando viene violata la norma che attribuisce il potere di procedere ad un determinato organo o ufficio della P.A., mentre la violazione di legge rappresenta un’ipotesi residuale ravvisabile in tutte quelle situazioni in cui vengono violate norme dell’ordinamento interno o comunitario.

Come definirlo. Più complesso definire la categoria dell’eccesso di potere, in quanto è stata oggetto di quattro differenti teorie: vizio della volontà; vizio dei motivi; vizio della causa; vizio della funzione.

In primo luogo è necessario precisare che l’eccesso di potere è ravvisabile esclusivamente quando la P.A. ha margini di discrezionalità amministrativa; viceversa, nei casi di attività vincolata, saremmo sempre dinnanzi ad una violazione di legge in quanto è la stessa norma attributiva del potere, a disciplinare compiutamente l’azione amministrativa.

Secondo una prima impostazione dottrinale l’eccesso di potere sarebbe un’ipotesi di vizio della volontà della P.A., intesa come non corretta formazione della scelta derivante da errore, violenza e dolo. Tale ricostruzione è stata criticata, risultando una elaborazione civilistica ancorata a parametri psicologici propri della volontà contrattuale dei privati. Nonostante sia vero che il procedimento amministrativo costituisce il processo di formazione delle decisioni (determinazioni) della P.A., è radicalmente differente dalla volontà maturata dai soggetti in sede contrattuale.

Il privato matura la scelta nel suo intimo, mediante un processo meramente cognitivo; l’Amministrazione, invece, segue norme di diritto pubblico, istaura una procedura complessa, acquisisce pareri e regola l’istruttoria, analizzandone i presupposti, di fatto e di diritto. Altrettanto criticabile la tesi del vizio dei motivi, in quanto se il procedimento amministrativo non è espressione di volontà, non può esserlo nemmeno nei motivi stessi.

L’ipotesi dell’eccesso di potere come vizio della causa del provvedimento amministrativo, si espone anch’essa a discussione. Fa coincidere il provvedimento al contratto di diritto privato, non tenendo conto che il primo non possiede tale requisito. La finalità del procedimento amministrativo è sempre la tutela dell’interesse pubblico; l’impostazione in questione stride con il merito amministrativo e con il ventaglio di scelte della amministrazione procedente.

La tesi più convincente è quella che concepisce l’eccesso di potere come vizio di funzione. Secondo questa impostazione, sussiste un vizio di legittimità del procedimento non per la violazione del fine tipico, ma per il mancato rispetto dei principi giuridici che regolano l’azione amministrativa, ex art. 97 Cost. e art. 1 e seguenti della L.241/90. L’annullamento non rappresenta un giudizio di legalità formale sull’atto, ma di legalità sostanziale, avente ad oggetto la coerenza e razionalità delle decisioni dell’Amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale. In definitiva la patologia in esame non configura più un’ipotesi di straripamento di potere, bensì di sviamento, rispetto al fine prefissato dalla norma attributiva del potere stesso a causa delle violazioni dei principi regolatori.

Spie d’allarme. La giurisprudenza amministrativa, dopo aver nei termini sopra esposti dato una definizione di eccesso di potere, ha cercato di individuare delle ipotesi sintomatiche, mediante la creazione di “spie di allarme”, espressione dell’irragionevolezza, illogicità e coerenza delle scelte della P.A. Preme sottolineare che gli indicatori di matrice giurisprudenziale sono atipici e non tassativi sicché, aldilà della loro presenza, è possibile chiedere l’annullamento del provvedimento non rispettoso dei parametri giuridici dell’azione amministrativa.

Sproporzionalità. Riguarda l’eventuale provvedimento. Fra le numerose ipotesi sintomatiche (difetto istruttoria, carenza motivazionale, travisamento dei fatti ecc.) consta nella violazione dei requisiti di idoneità, necessarietà e stretta proporzionalità della decisione della P.A. Nel diritto interno, il requisito della proporzionalità è stato per lungo tempo assimilato alla ragionevolezza della scelta della P.A. Poteva essere richiesto l’annullamento se la scelta dell’Amministrazione fosse contraddittoria o irragionevole, in spregio all’interesse oppositivo del privato leso da un provvedimento ablatorio o sanzionatorio.

L’impostazione maturata in sede comunitaria (oggi prevalente) fa riferimenti a tre requisiti, che non possono venir meno della proporzionalità: l’idoneità, la necessarietà, la stretta proporzionalità, secondo cui la ragionevolezza è un criterio differente e meno ampio rispetto alla proporzionalità.

l provvedimento si intende idoneo quando questi è capace di raggiungere concretamente l’interesse pubblico sotteso alla legge attributiva del potere. Invece, la necessarietà riguarda la scelta dell’atto emesso, più mite o meno lesivo dell’interesse del privato data l’assenza di altre condotte alternative. La stretta proporzionalità ha come oggetto la comparazione quantitativa e qualitativa dell’interesse pubblico con quello privato, da cui deriva la legittimità dell’atto, se comporta un sacrificio minimo e tollerabile per quest’ultimo.

Concezione paritaria. Tali caratteri derivano da una visione paritaria fra lo Stato-Amministrazione e il privato, improntato sui principi di buona fede, lealtà e correttezza dell’azione amministrativa, secondo cui l’interesse pubblico tende a sovrapporsi con l’interesse del privato. Tale concezione paritaria viene raggiunta mediante la lettura del combinato, disposto degli artt. 6 e 7 CEDU, che garantiscono una concreta partecipazione del privato al procedimento amministrativo tramite le guarentigie del giusto processo.

Appare evidente la differenza fra difetto di ragionevolezza e proporzionalità: la prima deriva da una contraddizione motivazionale o da una illogicità della scelta della PA; la seconda si basa su analisi più complesse e con l’accertamento dell’idoneità dell’atto rispetto allo scopo, alla sua necessità ed al bilanciamento con l’interesse del privato, secondo i criteri del minor sacrificio e della tollerabilità.

BIBLIOWEB:

Legge 241/1990, aggiornamento 2015 (in PDF allegato) http://www.commissioneaccesso.it/media/49026/legge%207-8-1990%20n.%20241-agg.2015.pdf
D.lgs. n. 104/2010 (aggiornato al 16 novembre 2020)
https://www.giustizia-amministrativa.it/il-codice-del-processo-amministrativo1
Sito CEDU https://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=applicants/ita&c
Il vademecum dalla Cassazione https://newmicro.altervista.org/?p=6312
Buone carte per cambiare la PA (finalmente) https://newmicro.altervista.org/?p=5768

 Legge 241/1990, aggiornamento 2015 – 2021 (PDF)

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Francesco Bondanini

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