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Diffamazione elettronica

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Diffamazione elettronica
(Last Updated On: 7 febbraio 2021)

Con mail o via pec: il punto della Cassazione

Alcune premesse: non ogni attacco alla sfera morale altrui è diffamazione. La nostra Costituzione riconosce, quali insiti nella libera manifestazione del pensiero (art. 21), il diritto di cronaca e di critica. Il diritto di cronaca si concretizza nel racconto di fatti (con i requisiti di veridicità, correttezza espressiva, rilevanza sociale della notizia). Consiste in un giudizio/opinione che non può in nessun modo essere obiettivo, essendo fondata su un’interpretazione di fatti e comportamenti.

Il diritto di critica esclude la veridicità ed è basato solo sulla rilevanza sociale e sulla correttezza espressiva. Il rischio è di sconfinare nell’ambito penale. Calunnia e diffamazione spesso vengono confusi, ma sono reati distinti: possono entrambi comportare una condanna penale e l’obbligo al risarcimento dei danni. Importante è distinguere tra il reato “più grave” (la calunnia) e quello meno (la diffamazione).

Importanti precisazioni in materia sono giunte a seguito della sentenza n. 34831/2020, con cui la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, la sentenza impugnata ritenendo che il fatto non costituisse reato. La vicenda esaminata muove dalla condanna di un imputato, in sede di merito, per il reato di diffamazione commesso via PEC.

La Corte si sofferma sulla diffamazione via posta elettronica, rammentando che l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, può integrare un’ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari (in presenza della prova dell’effettivo recapito dello stesso), ovvero che il messaggio sia stato “scaricato”, mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario. Nel caso di invio multiplo, effettuato con lo strumento “forward” a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura in forma aggravata, ai sensi dell’art. 595, comma terzo, c.p., stante il “particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica“.

L’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della “comunicazione con più persone”, anche con destinatario unico, qualora l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, con un accesso plurimo noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza.

PEC (Posta Elettronica Certificata). Viene descritta come un particolare tipo di posta elettronica, che consente di assegnare ad un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale di una tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, garantendo così la prova dell’invio e della consegna. I giudici ritengono che le caratteristiche della PEC non escludono la potenziale accessibilità delle comunicazioni a terzi, diversi dal destinatario, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione) e non già alla “esclusiva conoscenza” per il destinatario della e-mail originale.

L’utilizzazione della PEC richiede un onere di giustificazione rafforzato a riguardo dell’elemento soggettivo del reato di diffamazione, in particolare con riferimento alla “prevedibilità in concreto dell’accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo”, dove il mittente opti per questo tipo di comunicazione, proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario. Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell’atto, se destinato all’esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all’attivazione di poteri propri di quest’ultimo che, necessariamente, implichino l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

I giudici si soffermano sul tema della diffamazione, realizzata mediante esposti indirizzati ad organi di disciplina o, in genere, mediante osservazioni finalizzate all’esercizio di poteri di controllo e verifica, sottolineando l’importanza rivestita dalla necessaria valutazione della possibile sussistenza della causa di giustificazione, di cui all’art. 51 c.p. o della causa di non punibilità ex art. 598 del c.p..

Ritengono non integrata al delitto di diffamazione, la condotta di chi invia una segnalazione (anche  contenente espressioni offensive), alle competenti autorità, se volta ad ottenere un intervento per rimediare ad un’illegittimità amministrativa, mediante attivazione dei poteri di autotutela, considerato che ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., “sub specie” di esercizio del diritto di critica, anche in forma putativa, laddove l’agente abbia esercitato il diritto di critica ed assolto l’onere di deduzione di fatti, nella convinzione, anche erronea, del rilievo dei medesimi ai fini richiesti.

Continenza. “Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva, non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla prospettazione di una violazione, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi“.

Ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si dovrà tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, al contrario, pertinenti al tema in discussione ed alla sede dell’esternazione, che tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione.

Diffamazione. Interviene l’art. 595 c.p.. Il bene giuridico tutelato dal reato di diffamazione è la reputazione, intesa come l’opinione sociale dell’onore di una persona, la stima diffusa nell’ambiente sociale, insomma: ciò che gli altri pensano di una persona. Prevede, tra i suoi requisiti, quello della comunicazione con più persone, dunque la diffusività del messaggio denigratorio. Il che si riscontra in tutta una serie di ipotesi, compreso l’invio di e-mail e anche di messaggi via PEC, seppur inoltrati a una sola persona. Le caratteristiche della PEC, infatti, non sono tali da escludere la potenziale accessibilità di terzi nelle comunicazioni.

Postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione tra un gruppo di persone indeterminato: se il commento è offensivo, la relativa condotta costituisce il reato di diffamazione aggravata (art. 595 c.p.; sentenza Cassazione penale n. 24431/15). Non ogni espressione “forte” e “pungente” è idonea a configurare la responsabilità penale, essendo richiesta ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione un’obiettiva capacità offensiva della comunicazione, a prescindere dalla sensibilità del soggetto passivo. Non commette però mai il reato di diffamazione colui che rappresenta con espressioni congrue la verità dei fatti.

Chi offende l’altrui reputazione, comunicando con più persone, è punito con la pena pecuniaria della multa da euro 258 a  2582, o la pena della permanenza domiciliare da sei a trenta giorni, ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a tre mesi. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Le “maledicenze” (dette alle spalle) costituiscono una diffamazione (art. 595 c.p.), mentre perchè si possa parlare di calunnia (art. 368 c.p.) deve essere presente l’accusa di un vero e proprio reato, resa formale davanti a pubblici ufficiali.

Calunnia (art. 368 Codice penale). Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La calunnia consiste quindi nell’incolpare falsamente qualcuno, che si sa con certezza essere innocente, di un reato, avanti l’autorità giudiziaria (o ad altra che a questa abbia obbligo di riferire). E’ procedibile d’ufficio, cioè senza necessità di istanza formale di punizione, anche oltre il termine di 3 mesi previsti per la diffamazione. La pena è aumentata in funzione del reato oggetto di calunnia e la reclusione può raggiungere i dieci anni.

BIBLIOWEB:

Corte di Cassazione – Quinta sezione penale – Sentenza n. 34831/2020 (in PDF Allegato)
Cassazione di Cassazione – Prima sezione penale – Sentenza n. 24431/15 (in PDF)
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 Corte di Cassazione – Quinta sezione penale – Sentenza n. 34831/2020 - Prima sezione penale – Sentenza n. 24431/15 (PDF)

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Sergio Galmarini

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