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Covid19, Medscape dice di noi

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Covid19, Medscape dice di noi
(Last Updated On: 22 ottobre 2020)

Medscape compie 25 anni di attività e sui medici italiani e la pandemia fornisce i dati di una recente indagine, esprimendo diversi pareri e parlandone decisamente bene. “Nonostante si siano trovati a gestire, per primi in Europa, una quantità eccessiva di pazienti, spesso in assenza di adeguate protezioni individuali, i medici italiani sono pronti a riprendere a occuparsi dei malati con Covid-19 anche se non glielo chiede il datore di lavoro”.

Indagine internazionale. I dati sono stati raccolti online tra il 18 ed il 24 agosto, a distanza di pochi giorni da un analogo studio che ha coinvolto oltre 7.500 medici di Stati Uniti, Regno Unito, Brasile, Francia, Germania, Messico, Portogallo e Spagna. In Italia hanno risposto 419 medici, registrati su Medscape, per due terzi uomini e per un terzo donne.

Le specialità più rappresentate nel campione sono medicina generale, terapia intensiva, medicina interna e chirurgia, seguite da anestesiologia, ginecologia, pediatria e psichiatria. La distribuzione per età evidenzia alcuni giovanissimi, con meno di 28 anni (2% del campione) e qualche ultrasettantenne (6% del campione); si afferma una decisa prevalenza delle fasce di età mature, con il 57% del campione di età compresa tra 50 e 70 anni e solo il 36% tra 29 e 49 anni.

Presa in carico. Primo dato rilevante, soprattutto nel confronto con gli altri Paesi, la presa in carico dei pazienti con Covid-19: il 63% dei medici italiani riferisce infatti di aver seguito personalmente almeno un malato, in alcuni casi (nel 9%) a distanza (video, per telefono). L’uso della telemedicina è il più basso in assoluto, se si usa come confronto l’utilizzo da parte dei colleghi stranieri partecipanti alla survey internazionale di Medscape. Quello delle visite in persona, colloca l’Italia a metà classifica, con spagnoli, francesi e inglesi. Tutti si sono trovati in prima linea e   in proporzioni simili.

I medici giovani hanno più spesso visitato di persona (70%), rispetto agli ultra-quarantacinquenni (50%). Questo dato è influenzato anche dalle normative che, nel momento di massima crisi, hanno imposto la gestione remota da parte dei medici del territorio, in particolare quando la disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale era ancora gravemente carente.

DPI – dispositivi di protezione. Prima che tornassero finalmente ad essere reperibili, in quantità adeguate, mascherine, guanti, tute, visiere e gel disinfettante, oltre la metà dei professionisti ha accettato almeno una volta di visitare un paziente malato, sapendo di non essere protetto adeguatamente. Il 15% del campione lo ha fatto più e più volte, andando ben oltre il proprio dovere per non abbandonare i malati. Solo in Spagna la percentuale di medici costretta a operare senza adeguate protezioni è stata più alta (67%), mentre in Francia è stata attorno al 45%.

Motivazioni. Molti i volontari! Due terzi circa dei medici che in Italia si sono occupati di Covid-19 lo hanno fatto perché, fin dall’inizio della pandemia, si sono trovati in un contesto che prevedeva un ruolo attivo in un caso simile. Tra quelli che hanno iniziato a occuparsene in corso di epidemia, sei su dieci (58%) lo hanno fatto per decisione altrui, mentre per gli altri quattro (42%) è stata una scelta volontaria.

Alla domanda se rifarebbe la stessa scelta, il 55% ha confermato che probabilmente o molto probabilmente si comporterebbe nello stesso modo, solo il 13% ha indicato come improbabile questa opzione. Un terzo dei volontari ha dato una risposta interlocutoria, interpretata come un segnale della complessità intrinseca di una simile decisione, e della speranza che un così grande sacrificio personale non sia nuovamente necessario.

Decimazione. Contagiato uno su dieci. Occuparsi di malati di Covid-19 ha infatti comportato per sei medici su dieci operare in una struttura sovraffollata, esponendosi personalmente a rischi che avrebbero dovuto essere evitati. Ben l’11% del campione intervistato ha contratto l’infezione ed è particolarmente significativo il fatto che circa il 10% dei medici colpiti, non ha avuto la conferma di un test e si sia dovuto accontentare di una diagnosi basata sui sintomi clinici. Non sorprende il fatto che siano stati proprio i medici del territorio ad avere più difficoltà ad ottenere il tampone.

Negli Stati Uniti, Germania e Portogallo i medici sono stati colpiti in percentuale molto inferiore (5-6%), mentre in Messico, Brasile e Francia la percentuale è stata poco più alta (13-15%). I camici bianchi più contagiati dall’infezione sono stati inglesi e spagnoli, assestati attorno al 20%. Anche in questi Paesi, una quota delle diagnosi non ha avuto conferma mediante test diagnostico.

Terapie e linee guida. Non stupisce che oltre la metà dei medici (54%) dica di aver usato tecniche e trattamenti (come l’idrossiclorochina), anche in assenza di dimostrazioni di efficacia: probabile riflesso del fatto che l’Italia si è trovata per prima a fare i conti con un’infezione nuova, che via via si manifestava con caratteristiche inaspettate. Il 60% dei medici intervistati rivendica di aver seguito le linee guida e le best practice, che nel nostro Paese sono state progressivamente aggiornate, sebbene in alcune fasi vi siano state discrepanze significative tra indicazioni regionali e raccomandazioni nazionali.

Peso psicologico. Le famiglie dei medici hanno pagato un prezzo significativo alla pandemia, con un andamento che nei diversi Paesi ricalca ed in alcuni casi amplifica, quello dei contagi tra i professionisti. In questo ambito l’Italia si avvicina ai Paesi più fortunati (Portogallo, Germania e Stati Uniti), con l’11% dei medici che ha avuto un caso di Covid-19 nel nucleo familiare, rispetto al 15% della Francia, al 18% di Messico e Regno Unito e soprattutto rispetto all’agghiacciante record di Brasile e Spagna, accomunati nell’avere un quarto dei medici (25%) con un caso di coronavirus da gestire in casa propria o, in un caso su quattro, ricoverato in ospedale!

Abitudini di vita. Hanno risentito pesantemente del lockdown e delle misure di distanziamento sociale: quasi la metà dei medici intervistati (per oltre tre quarti convivente con partner e figli) ha patito un aumento dello stress nelle relazioni familiari e non ha potuto evitare di modificare le proprie abitudini alimentari o il proprio stile di vita. Un quarto del campione (26%) ha mangiato di più: una percentuale di poco inferiore (21%) ha ridotto il consumo di alcolici, il 17% ha ridotto l’assunzione di farmaci e stimolanti. Il dato più negativo riguarda l’attività fisica: un quinto dei medici ha approfittato per incrementarla, due quinti (43%) hanno fatto meno esercizio.

I lutti. Quelli causati da Covid-19 sono stati un’esperienza frequente per i medici italiani che hanno preso parte all’indagine: metà di loro ha perso un famigliare o un amico e ben due colleghi professionisti sanitari. Molti di loro, per usare le parole di uno degli intervistati, conserveranno per sempre il ricordo “…della quantità di persone che sono morte in solitudine, delle telefonate alle famiglie, dei camion dell’esercito usati per trasportare i cadaveri alla cremazione, degli sguardi dei pazienti quando dicevamo loro che avremmo dovuto intubarli”.

Più lavoro, meno reddito. La situazione economica di molti medici italiani ha subito cambiamenti: metà circa di chi ha risposto ha mantenuto un reddito stabile, due su dieci lo hanno visto crescere anche del 25%, rispetto all’inizio della pandemia, tre su dieci hanno avuto una contrazione dei guadagni, in molti casi fino al 50%. La dinamica italiana è molto simile a quella rilevata in Francia, Germania e Spagna, mentre lo scenario peggiore è quello affrontato dai camici bianchi di Stati Uniti, Brasile e Messico, dove oltre la metà dei professionisti ha visto diminuire il proprio reddito.

Il calo, per i medici italiani, si spiega almeno in parte con la chiusura di molti ambulatori, che hanno riaperto solo in parte. Circa il 60% dei partecipanti all’indagine ha infatti dichiarato che il suo ambulatorio ha riaperto o sta riaprendo, mentre il 2% non ha piani immediati. Per il 37% l’attività ambulatoriale non si è mai interrotta.

Organizzazione del lavoro. Solo per un medico su tre la gestione dell’attività è stata riadattata per ridurre il carico burocratico e amministrativo. Sette ospedalieri su dieci lamentano l’assenza di reattività adeguate delle rispettive amministrazioni. Sul fronte dell’organizzazione del supporto per i professionisti sanitari a superare lo stress ed il lutto, spiccano le risposte negative: la metà dei medici non ha avuto nessuna offerta in tal senso. Due su 10 non escludono che qualcosa sia stato organizzato ma non è sicuro e solo tre su 10, in media (con una maggiore presenza di ospedalieri), hanno ricevuto informazioni chiare in materia.

Burnout: i nuovi orizzonti. Date le condizioni particolarmente difficili, quasi un medico su due (46%) ha sofferto il fatto di non riuscire a fare adeguatamente il proprio lavoro. E tutti questi fattori hanno contribuito a peggiorare la sensazione di burnout in una quota significativa dei medici italiani che ne erano colpiti: circa uno su due.

Di riflesso, circa quattro medici su dieci stanno valutando l’ipotesi di un cambiamento radicale. Due su 10 potrebbero passare ad un diverso contesto lavorativo (ospedale, ambulatorio privato), uno su 10 dal lavoro dipendente alla libera professione o viceversa. E sempre uno su 10, rispetto alle intenzioni precedenti, potrebbe anticipare il pensionamento. Tra le ipotesi c’è anche il cambio di specialità (5%), la ricerca di un lavoro lontano dalla medicina (5%) o comunque non più a contatto con i pazienti (3%).

Informazione e politica. Solo la metà del campione intervistato pensa che i messaggi diffusi dal governo sulla pandemia siano stati chiari. Il giudizio sulla tempestività delle misure di lockdown riflette questa spaccatura: il 54% dei medici non ha nulla da ridire, mentre il 45% avrebbe voluto che arrivassero prima (con un dissonante 1% che giudica che si dovesse aspettare). Maggiore concordanza si osserva riguardo alla riapertura, giunta al momento giusto (68%, oltre due terzi dei medici), mentre il 22% avrebbe preferito aspettare ancora ed il 10% ritiene invece che dovesse avvenire prima.

Lo sguardo al futuro. Sulla prospettiva di avere un vaccino o nuove terapie efficaci, tre medici su cinque pensano che saranno disponibili entro 18 mesi. L’ipotesi che nel frattempo il distanziamento sociale favorisca l’insorgere dell’immunità di comunità, senza aumentare troppo la mortalità, convince solo un terzo circa del campione intervistato. Il 40% si dichiara invece pessimista.

Sulla durata della pandemia da Covid-19 per tre o più anni, i medici italiani si dividono in parti quasi uguali: un terzo lo esclude, un terzo che lo considera uno scenario probabile, un terzo non sa cosa pensare.

BIBLIOWEB:

Sito Medscape https://www.medscape.com/
Topol: US Betrays Healthcare Workers in Coronavirus Disaster https://www.medscape.com/viewarticle/927811
Resilienza Medica http://newmicro.altervista.org/?p=7730
Covid-19: infortunio sul lavoro http://newmicro.altervista.org/?p=7639
Sanitario cura te stesso http://newmicro.altervista.org/?p=7450
Covid-19 Angeli e Demoni http://newmicro.altervista.org/?p=7407
Covid-19 Il silenzio degli innocenti  http://newmicro.altervista.org/?p=7288
Coronavirus: misurare lo stress degli operatori sanitari http://newmicro.altervista.org/?p=7251
Old Med e Covid http://newmicro.altervista.org/?p=7233
EBM e Covid19 http://newmicro.altervista.org/?p=7146
Ai tempi del Covid 19 http://newmicro.altervista.org/?p=7100
Coronavirus e Media http://newmicro.altervista.org/?p=7019

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Sandro Pierdomenico

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