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Fumare fa male

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Fumare fa male
(Last Updated On: 1 giugno 2018)

Anche per la Cassazione

Alcontrario di quanto era successo negli USA negli anni 60-70 con la causa Wigand contro le multinazionali del tabacco, oggi la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un fumatore contro l’azienda produttrice delle sigarette e il ministero della Salute. L’ incallito fumatore (ammalatosi e poi morto di cancro ai polmoni prima della chiusura del processo) non ha diritto ad alcun risarcimento da parte della multinazionale del tabacco e dei Monopoli dello Stato.

Per la Cassazione (contrariamente a quarant’anni fa) che il fumo sia dannoso è un fatto notorio, non vale nemmeno l’accusa del ricorrente alla casa produttrice di aver inserito nelle sigarette delle sostanze che danno assuefazione (in primis la nicotina), perché secondo i giudici non annullano la volontà. Confermando il giudizio del Tribunale e della Corte d’Appello che avevano bocciato la richiesta ritenendo il vizio del fumo “un atto di volizione libero”, quindi una scelta consapevole.

Con la sentenza n. 11272/2018 la Cassazione (terza sezione civile) ha escluso per il ricorrente, a maggior ragione perché tabagista incallito, il risarcimento. Aveva iniziato a fumare da ragazzo (due pacchetti di Marlboro al giorno) quando ancora non c’erano le avvertenze sulla nocività del “vizio”. L’accusa del ricorrente al ministero della salute era di non aver vigilato sulla salute pubblica obbligando le multinazionali e lo stato ad offrire un prodotto più “naturale”.

Secondo la Corte la dannosità del fumo costituisce da lunghissimo tempo un dato di comune esperienza  perché  anche  in  Italia era conosciuta dagli anni 70 la circostanza che “l’inalazione da  fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro, poteva ritenersi un dato di comune esperienza. Campagne pubblicitarie promosse da organizzazioni non lucrative lanciarono in quegli anni moniti di qualche risonanza”.

La Cassazione quindi ha ritenuto che la circostanza che il fumo faccia male alla salute è un fatto socialmente notorio, anche  se  per ragioni culturali, sociali o di costume il vizio del fumo era più accettato. La nicotina non può annullare la capacità di autodeterminazione del soggetto ‘costringendolo’ a fumare, senza possibilità di smettere.

Nell’accertamento della responsabilità civile, primo presupposto da verificare è l’esistenza del nesso eziologico tra quello che il comportamento potenzialmente dannoso e il danno che si  pensa esserne derivato. Una volta verificato che il nesso non sussiste, non ha più rilevanza né l’accertamento di un’eventuale colpa, né l’accertamento di una eventuale responsabilità cosiddetta speciale (con tutto quello che ne consegue in ordine all’inversione dell’onere probatorio).

Il consumo di tabacco rappresenta la seconda causa di morte nel mondo e la principale causa di morte evitabile. In Italia i fumatori sono il 22,3% della popolazione (11,7 milioni di cittadini/e) ed il fumo di tabacco rappresenta la principale causa di morte nel nostro paese. Le morti/anno oscillano  tra le settanta e le ottantatremila, oltre il 25% dei decessi  è compreso nella fascia d’età compresa  tra i 35 ed i 65 anni (Dati Istituto Superiore di Sanità).

La Cassazione aggiunge, con questa sentenza, un ulteriore deterrente per smettere di fumare, a tutte le motivazioni elencate nel sito del ministero della Salute.

BIBLIOWEB:

Cassazione civile, sentenza n. 11272/2018 (terza sezione) (in PDF allegato)
Guerra al fumo http://newmicro.altervista.org/?p=3442
http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_5.jsp?area=stiliVita&menu=fumo

 Corte di Cassazione Civile, sentenza n. 11272/2018   (PDF-FlipBook)

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Giuseppe Catanoso

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