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Condanna garantita se negligenza, imperizia e linee guida ignorate

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Condanna garantita se negligenza, imperizia e linee guida ignorate
(Last Updated On: 26 luglio 2017)

Anche se il decesso avviene quasi un mese dopo l’intervento.

Contro la documentazione di negligenza, imperizia, mancato rispetto delle linee guida né la Balduzzi né la Gelli salvano il medico (nel caso in oggetto l’anestesista), dalla condanna per omicidio colposo ed il nesso tra la negligenza del medico e la morte del paziente può sussistere (deve considerarsi provato) anche se il decesso avviene quasi un mese dopo l’intervento. La Corte di Cassazione penale con la sentenza 33770 del 11 luglio 2017 sottolinea i campi di applicazione e le correlazioni con il corpo legislativo esistente.

Ma veniamo nello specifico al fatto. Nel dicembre 2009 una donna, sottoposta a un intervento chirurgico di riduzione chiusa di una frattura nasale, non a cielo aperto, dopo l’operazione, veniva    trasferita nel reparto di rianimazione. Dopo ventisei giorni nel reparto era deceduta per insufficienza cardiorespiratoria. Secondo la ricostruzione dei consulenti del Pubblico Ministero (accolta dai giudici di merito), si era manifestata nella donna un’ ischemia cerebrale, al termine dell’intervento chirurgico, dalla quale era derivato lo stato comatoso, il progressivo peggioramento delle condizioni generali  fino all’exitus.

Le conclusioni del consulente del P.M. si basavano su dati certi (esame necroscopico e autoptico) e giungevano, con “argomentazioni esenti da errori o vizi logici”, all’accertamento della causa del decesso per la prolungata ipossia provocata nella paziente dalla condotta dell’anestesista nel corso dell’intervento. L’encefalopatia ischemica era stata collegata ad una ipossia generalizzata a livello cerebrale, provocata da una insufficienza respiratoria dovuta alla mala gestio delle vie aeree (ed in specie dell’apparato oro tracheale), da parte dell’anestesista che, secondo le linee guida, avrebbe dovuto assicurare alla paziente una corretta ventilazione polmonare durante l’intervento per evitare il pericolo (verificatosi), di ostruzione delle alte vie respiratorie. La cattiva gestione delle vie aeree era proseguita nonostante segni clinici strumentali della carenza di ossigeno nel sangue, durante l’intervento, in una paziente che oltretutto era stata sottoposta a operazione chirurgica in sede nasale.

La presenza di infezione ospedaliera (insorta) non è motivo per declassare il comportamento dell’anestesista in “colpa lieve”. Per la Cassazione penale, “secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, la condotta dell’imputata è stata correttamente e motivatamente qualificata come caratterizzata da «grave negligenza»: ragione per la quale é stata disattesa la richiesta di applicazione della disposizione di legge (art. 3 della legge n. 189/2012 -Balduzzi).

La Cassazione ricorda una precedente sentenza, che ha evidenziato come l’infezione nosocomiale sia uno dei rischi tipici e prevedibili, da tener in conto nei casi di lunga permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente, in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti.

La Cassazione ha sottolineato che l’inosservanza delle linee guida e, comunque, delle buone pratiche clinico-assistenziali e la (corretta) qualificazione della condotta della ricorrente è caratterizzata da “negligenza” piuttosto che da “imperizia” escludendo “anche la configurabilità dell’ipotesi di non punibilità del fatto, prevista dal nuovo art. 590-sexies cod.pen. (introdotto dall’art. 6 della legge n. 24/2017 – Gelli), che oggi disciplina la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, in relazione alle fattispecie di omicidio colposo e lesioni personali colpose”.

BIBLIOWEB:

  • Corte di Cassazione penale – quarta sezione, sentenza n.33770 del 11 luglio 2017 (in allegato)

Corte di Cassazione – Sentenza n°33770/11.07.2017 (in formato PDF)

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Giuseppe Catanoso

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