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104: Vale il Riposo

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104: Vale il Riposo
(Last Updated On: 10 gennaio 2017)

I tre giorni di permesso, per assistere persone disabili, non sono equiparabili alle ferie ma  servono anche per far “riposare” chi ne usufruisce.  Sentenza della Cassazione

Sulla legge 104 c’è un via vai di “abusi” e “anomalie” da parte di chi ne usufruisce e da parte dei datori di lavoro, tanto da renderla una delle leggi più “discusse” e “chiacchierate”. Sono i giorni riconosciuti  come  diritto del lavoratore pubblico o privato “che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado” a determinate condizioni, di fruire “di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.

Forse anche per questo la Corte di Cassazione interviene nuovamente (II sezione penale, sentenza 23 Dicembre 2016, n. 3209) sulla natura dei permessi ex legge 104/1992. Qui l’occasione utilizzata è un’anomala modalità di fruizione dei tre giorni di permesso (nella specie un viaggio all’estero, con parenti sì, ma senza disabilità!). L’interpretazione data dalla lavoratrice era relativa alla natura dei giorni di permesso retribuito, che a suo parere potevano essere assimilati a  “tre giorni feriali di libertà”, proprio per consentire il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore stesso.

La Corte di Cassazione non ha aderito a questa impostazione; ha fatto però alcune importanti considerazioni, proprio sulla natura dei tre giorni di permesso (Comminando alla lavoratrice la condanna per truffa, ex art. 640 del codice penale). Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, ha specificato che la norma sui tre giorni di permesso ha una duplice finalità:

a)   consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore continuità e

b) consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al famigliare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali.

Il lavoratore deve essere libero “di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze del portatore di handicap” dato che questa rigidità può danneggiare il disabile stesso. Quindi non è obbligatorio prestare assistenza esattamente nelle ore in cui il lavoratore deve garantire la propria attività lavorativa. La Corte sottolinea: in “nessuna parte della legge si evince … che l’attività di assistenza deve essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa”.

In conclusione i tre giorni di permesso, ex legge 104, non sono da considerarsi, stante la diversa natura e finalità, assimilabili a giorni di ferie: devono contemperare le finalità assistenziali, pur non essendo richiesto l’impegno totalizzante. Il principio di diritto enunciato stabilisce che tali permessi sono “un’agevolazione che il legislatore ha concesso a chi si è fatto carico di un gravoso compito, di poter svolgere l’assistenza in modo meno pressante e, quindi, in modo da potersi ritagliare in quei giorni in cui non è obbligato a recarsi al lavoro, delle ore da poter dedicare esclusivamente alla propria persona”. Con modalità però che permettano l’assistenza richiesta; cosa che, nel caso trattato, non è avvenuta visto che la lavoratrice si era recata all’estero.

Le modalità di controllo non possono essere negatrici del diritto e di conseguenza la Corte di Cassazione esorta a interpretare questa parte della legge “cum grano salis”. Continua quindi la linea di correttezza sulla fruizione dei permessi della legge 104 (che non sono stati esenti da abusi nelle loro modalità di godimento, come già sottolineato) dopo la precedente specifica, correttiva della legge, che ha dichiarato la illegittimità dell’art. 33, comma 3, nella parte in cui non includeva i conviventi more uxorio nel panorama dei beneficiari dei permessi.

Rimane il dubbio sul termine “assistenza”. Si intende la diretta assistenza del paziente (relativa al soddisfacimento dei bisogni di assistenza per superare/migliorare la mancanza di autonomia del disabile, nelle attività di vita in senso stretto) o si estende anche a tutte quegli impegni che, comunque, sono preclusi al disabile beneficiario del tempo libero del parente/affine o coniuge/convivente, come la gestione ordinaria delle attività più “allargate”: i.e. il disbrigo di pratiche presso uffici, istituzioni etc.

E’ realmente difficile non comprendere tutti i bisogni di vita del disabile, vista la ratio della norma complessiva della legge 104.

 

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Giuseppe Catanoso

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