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Vitamina D e Rischio Fratture in Menopausa: Nessuna Utilità?

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Vitamina D e Rischio Fratture in Menopausa: Nessuna Utilità?
(Last Updated On: 26 agosto 2015)

Il rischio “osteoporosi” può essere considerato un “rischio di genere” visto che riguarda soprattutto donne in età post menopausa, come ampiamente documentato in numerosi siti di divulgazione, anche italiani.
L’assioma in questi casi è somministrazione di vitamina D.

Un nuovo trial randomizzato, pubblicato lunedì scorso su JAMA Internal Medicine, avrebbe accertato che somministrare alte dosi di vitamina D a donne in post-menopausa non ha alcun effetto significativo sulla densità ossea.
Inoltre, non si sono trovate differenze nel numero delle cadute, nel numero delle pazienti infortunate, nell’attività fisica o nello stato funzionale delle donne trattate rispetto ai controlli.

DISEGNO: 230 partecipanti divisi in 3 gruppi: a) placebo giornaliero; b) 800 UI vit. D3 e placebo due volte al mese; c) placebo giornaliero e 50.000 UI di vit. D3 due volte al mese.
Si trattava di donne in menopausa da almeno 5 anni o ovariectomizzate, con concentrazioni di 25(OH) sierica comprese tra 14 e 27 ng/mL.
Alle pazienti con introduzioni dietetiche troppo basse o eccessive è stato raccomandato un regime che prevedesse un contenuto in calcio compreso tra 600 e 1400 mg/giorno.
Criteri di esclusione sono stati: età >75anni, ipercalcemie, nefrolitiasi, neoplasie negli ultimi 5 anni, malattia infiammatoria intestinale, malassorbimento, celiachia, diarrea cronica , eGFR < 45 mL/min, pazienti fragili, fratture ossee e soggetti in terapia con farmaci attivi sul metabolismo osseo.
Tutte le partecipanti avevano tenuto un diario mensile degli alimenti introdotti in modo da quantificare l’introduzione di calcio con la dieta.

RISULTATI: Un incremento della calcemia nel braccio c) dello studio , ma con modesto effetto complessivo e nessuna conseguenza clinica è l’unico rilievo macroscopico.
Se il trattamento prolungato oltre l’anno sia in grado di fornire qualche risultato non è dato sapere ma al momento non c’è alcuna evidenza che il colecalciferolo ad alte o a basse dosi sia in grado di modificare gli esiti clinici rispetto al placebo.
L’outcome primario dello studio era rappresentato la variazione annuale dell’assorbimento del calcio frazionato totale (TFCA).
Outcome secondari includevano gli effetti sulla funzionalità e sulla massa muscolare, lo score dell’osso trabecolare, il turnover osseo, dolore, status funzionale, attività fisica.
Le misure sono state fatte ad intervalli regolari fino ad un anno dalla randomizzazione.
I risultati dello studio non sembrano giustificare la pratica comune di somministrare colecalciferolo ad alte dosi alle pazienti anziane per mantenere la concentrazione sierica di 25(OH)D > 30 ng/mL, concludono gli autori.
Naturalmente queste conclusioni non sono generalizzabili a pazienti più giovani o a maschi.
Questo studio è ovviamente tutt’altro che definitivo: il campione è piccolo e le donne analizzate erano solo quelle con le concentrazioni più basse di vit. D.
Inoltre lo studio è stato condotto in un unico centro su una popolazione essenzialmente di razza bianca.

In conclusione, il presente studio documenta alcune evidenze e lascia non risolti diversi interrogativi: facile prevedere una continuazione del già prolungato dibattito su vantaggi e svantaggi della vitamina D nell’anziano.

BIBLIOWEB:

Karen E. Hansen KE, Johnson RE, Chambers KR et al

Treatment of Vitamin D Insufficiency in Postmenopausal Women. A Randomized Clinical Trial 

JAMA Intern Med. Published online August 03, 2015. doi:10.1001/jamainternmed.2015.3874

http://www.esseredonnaonline.it/infografiche-spazio-salute/osteoporosi-i-numeri-shock-di-una-patologia-silenziosa/

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Marco Caputo

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