Tra i tumori ginecologici, il cancro dell’ovaio continua ad essere il più aggressivo. La sopravvivenza a 5 anni delle pazienti non supera, ancora oggi, il 40%; pertanto la disponibilità di strumenti diagnostici in grado di impattare sul decorso clinico di questa letale malattia è quanto mai necessaria.
Un gruppo di ricercatori europei, tra i quali molti italiani, ha pubblicato un importante contributo su British Medical Journal del 15 ottobre, le cui conclusioni portano a sperare in un imminente miglioramento nel work up diagnostico e nella gestione di questa patologia. In pratica è stato sviluppato un modello politomico di predizione di rischio, in grado di distinguere tra lesioni benigne, borderline, stadio I invasivo, stadi II – IV invasivi, malattia metastatica annessiale.
Il modello è stato applicato ad oltre 3.500 pazienti arruolate tra il 1999 e il 2007, e successivamente validato su 2.403 donne reclutate tra il 2009 e il 2012. Infine, si è provveduto ad un aggiornamento finale del modello utilizzando i dati complessivi.
Criterio di inclusione era la presenza di masse ovariche e la disponibilità di almeno un referto ecografico prima della chirurgia. Il modello è stato battezzato ADNEX (Assessment of Different NEoplasias in the adneXa), e comprende 9 variabili: età, concentrazione di s-CA125, tipo di centro, diametro massimo della lesione, proporzione di tessuto solido, numero di proiezioni papillari, più di 10 loculi cistici, ombre acustiche e, infine, ascite.
Per i laboratoristi è interessante sapere che il dato del CA125 si è rivelato essere, assieme alla proporzione di tessuto solido, la variabile più solidamente collegata all’outcome finale, a giudicare dai test statistici per i coefficienti del modello.
La stessa limitazione costituita dall’utilizzo di kit di dosaggio differenti da centro a centro è stata vista anche come un punto di forza, in quanto riflette meglio il mondo reale; e, comunque, la variabilità non è stata eccessiva.
L’ultrasonografia resta il mezzo migliore per distinguere lesioni benigne da forme maligne, ma il marcatore tumorale si è rivelato fondamentale per discriminare tra gli stadi II-IV, come pure tra stadio I e malattia metastatica. Il tempo, e altri studi, ci diranno se siamo davvero sulla buona strada.
BIBLIOFRAFIA
BMJ 2014;349:g5920
Articoli correlati:
NOV
About the Author
Email: [email protected]