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Danno da mancata formazione

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Danno da mancata formazione
(Last Updated On: 29 aprile 2024)

danno da demansionamento esteso alla perdita di aggiornamento professionale

Sulla necessità dell’aggiornamento professionale non dovrebbero esserci dubbi: pensiamo agli obblighi dei crediti ECM in medicina. La formazione permea tutte le attività ed è un requisito indispensabile al mantenimento della professionalità, che deve prendere in considerazione l’adeguamento alle nuove tecnologie, pena la perdita di competitività delle strutture e dei professionisti.

Ma se l’aggiornamento è necessità ed obbligo per il singolo, non di meno è vincolante nei confronti dell’Azienda “datore di lavoro” che corre il rischio di essere sanzionata, nel caso non venga garantita la formazione del dipendente, riducendo la crescita professionale con conseguente demansionamento.

Sul tema, la Cassazione si è espressa più volte. Da ultimo con l’ordinanza n.1807 del 20/01/2022, nella quale la Corte ha respinto un ricorso di Intesa San Paolo Spa, confermando una sentenza di merito, che condannava l’Istituto di Credito al risarcimento del danno da demansionamento nei confronti di una funzionaria. I giudici di merito avevano già riconosciuto un risarcimento, che teneva conto non solo dalla preclusione della crescita professionale, ma anche dalla consequenziale perdita di aggiornamento professionale.

La Corte di Cassazione ha validato il verdetto, chiarendo che il danno da demansionamento non può limitarsi alla sola preclusione della crescita professionale, ma può includere anche la “inevitabile perdita di aggiornamento professionale, non essendo la funzionaria più addetta alla materia dei criteri di valutazione del merito creditizio e dei presupposti per l’attività deliberativa degli affidamenti, in linea con la veloce evoluzione della materia specialistica“.

La sentenza sottolinea che nella valutazione del danno si deve considerare anche l’impatto sullo sviluppo professionale complessivo del lavoratore. I riflessi di questa ordinanza in campo sanitario non possono sfuggire: se l’aggiornamento è importante per gli istituti di credito, cosa dobbiamo dire dell’ambito sanitario? Particolarmente significativa poi è la trattazione di diverse problematiche, non da ultimo i chiarimenti in merito alle motivazioni delle prove da richiedere al lavoratore.

La Corte affronta anche il tema dell’onere probatorio, ponendo l’accento sul fatto che il danno derivante dal demansionamento non è automaticamente presunto, ma può essere provato dal lavoratore ai sensi dell’art. 2729 del codice civile “…attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione“.

Respinto anche il motivo di ricorso che faceva leva sullo Ius Variandi del datore di lavoro, alla luce del testo novellato dell’articolo 2103 c.c. la Corte ha dichiarato inammissibile tale motivo di ricorso, perché la banca non ha adeguatamente contestato la motivazione della sentenza di Appello, che si era concentrata sulle mansioni effettivamente svolte dalla funzionaria.

Lo ius variandi è il potere che ha il datore di lavoro di modificare unilateralmente le condizioni non essenziali del contratto individuale di lavoro, escludendo da tale potere, alcuni elementi:

- il cambiamento di luogo di lavoro, che arreca danno al lavoratore;
– la modifica della giornata lavorativa (per variazione nell’orario di lavoro);
– nuove mansioni lavorative, che implicano una diversa categoria professionale.

Tale potere si ritiene che derivi dal diritto del datore di lavoro di organizzare e dirigere l’attività dei suoi dipendenti. Il limite all’applicazione dello ius variandi è un triplice filtro, inquadrato nella sua ragionevolezza (che non sia arbitraria), nella funzionalità (che obbedisce ad una ragione accettabile) e nella risarcibilità del lavoratore (che non causi menomazione patrimoniale o morale, o che provoca danni materiali adeguatamente risarcibili).

Viene differenziata la situazione del lavoratore a seconda che abbia un’incapacità assoluta o relativa ad accettare il cambiamento delle condizioni di lavoro. L’impossibilità è assoluta quando per natura, gravità od entità dei danni causati, non può essere costretto ad accettarla (ad es., un cambiamento di orario o di luogo di lavoro che impedirebbe di proseguire gli studi che sta portando avanti).

L’impossibilità è relativa quando il datore di lavoro può risarcire il danno causato (ad es., pagando un maggior costo di trasporto causato dal cambio di luogo di lavoro), nel qual caso il lavoratore deve accettare il cambiamento se il datore di lavoro accetta di risarcire lui per la perdita.

Tenendo in considerazione tali motivazioni, la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna dell’Istituto bancario, imponendo il risarcimento del danno da demansionamento e sottolineando ancora una volta la centralità della formazione per i singoli individui.

BIBLIOWEB:

Corte di Cassazione,  sesta Sezione L, Ordinanza n. 1807/2022 (PDF)

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Francesco Bondanini

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