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Intervento tempestivo: danno evitato o ridotto?

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Intervento tempestivo: danno evitato o ridotto?
(Last Updated On: 16 gennaio 2022)

Ogni giudizio di fatto deve avere un suo specifico effetto giuridico

Distinguere tra le ipotesi di un tempestivo intervento, che avrebbe evitato il danno oppure lo avrebbe solo ridotto, vuol dire evidenziare due differenti giudizi “di fatto”. Su questo tema di responsabilità medica, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32657/2021, ha cassato un dettato di Corte d’Appello sul presupposto che, quest’ultima, avrebbe peccato nel ricollegare lo stesso effetto giuridico a due differenti giudizi.

In particolare, la corte territoriale avrebbe dovuto tenere distinte le ipotesi secondo cui un tempestivo intervento dello staff medico, avrebbe evitato oppure semplicemente ridotto il danno subito dalla vittima. La controversia giudiziale trae origine dal caso di una gravidanza in cui il feto ha riportato gravi danni neurologici. A giudizio del consulente tecnico d’ufficio, l’insorgere di tali danni era da ricondurre alla preesistenza di una condizione patologica a carico della madre.

Dalle risultanze degli atti, però, emergevano anche profili di errata diagnosi, poiché da parte della struttura ospedaliera non vi era stato un tempestivo intervento, a seguito del rilievo di un ritardo nella crescita del feto, comportando il progredire della patologia. Il giudice di primo grado, da un lato aveva riconosciuto la responsabilità medica della struttura ospedaliera, dall’altro aveva accordato un risarcimento dei danni (ridotto nel quantum), in considerazione della relazione tra la patologia della madre e l’insorgere dei danni riportati dal figlio.

La Corte d’Appello, invece, sosteneva che la patologia materna era da considerarsi “concausa naturale e non umana” e che, pertanto, non doveva operarsi tale riduzione, precisando che un tempestivo intervento dell’equipe medica avrebbe “evitato o quanto meno ridotto” i danni intrauterini. È proprio quest’ultimo passaggio logico a risultare carente, secondo la Corte di Cassazione, avendo ritenuto sostanzialmente “privo di motivazione” il provvedimento della corte territoriale.

Non può infatti stabilirsi l’esclusiva responsabilità della struttura ospedaliera (con il conseguente obbligo, in capo a quest’ultima, di risarcire per intero i danni riportati dalla vittima) se prima non viene sciolto il dubbio, concernente gli eventuali benefici che si sarebbero tratti da un tempestivo intervento. Quest’ultimo, in altre parole, avrebbe neutralizzato oppure semplicemente ridotto l’entità di tali danni? La Corte d’appello, sul punto, aveva espresso un giudizio di fatto che lasciava aperta la strada ad entrambe le ipotesi, salvo poi sostanzialmente propendere, nella sua decisione, per la tesi secondo cui l’intervento dei medici avrebbe del tutto evitato i danni in oggetto.

Come detto sopra, i giudici dell’impugnazione, pur aderendo alle conclusioni del CTU che riteneva inevitabile l’insorgere dei danni al feto anche in caso di tempestivo intervento dei sanitari, ritenevano che la struttura ospedaliera avrebbe dovuto risarcire i danni nella loro interezza, senza alcuna riduzione sul quantum, in conseguenza della relazione tra la patologia della madre e quelle insorte a carico del feto.

Errata diagnosi. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha rilevato che “…la corte territoriale ha espresso un ‘giudizio di fatto’ in termini sia di neutralizzazione che di riduzione delle conseguenze della patologia pregressa, da parte dell’intervento sanitario, ove svolto in modo diligente, collegando a tale accertamento gli effetti giuridici della neutralizzazione (irrilevante ai fini della determinazione del danno risarcibile) e non quelli della riduzione”.

Il problema sottolineato dalla Cassazione è che, in tal modo, si realizza un’anomalia motivazionale nei termini di una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto in contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, sia sotto il profilo del giudizio di fatto (neutralizzazione e allo stesso tempo riduzione delle conseguenze della patologia pregressa), sia sotto il profilo del giudizio di diritto (opzione priva di motivazione in favore della fattispecie della neutralizzazione, anziché in favore di quella della riduzione).

Per tali motivi la sentenza della corte territoriale è da ritenersi priva di motivazione: “…il giudizio di fatto deve avere un termine esclusivo (neutralizzazione o riduzione delle conseguenze della patologia pregressa) e deve collegarvi il conforme effetto giuridico“.

Sulla problematica risarcitoria valgono i seguenti principi di diritto:

1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;

2) la concausa delle lesioni è giuridicamente irrilevante, sul piano della causalità materiale;

3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;

4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano, per il fatto che si presentino sole od associate ad altre, anche se afferenti i medesimi organi; saranno invece “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti siano meno gravi se isolate e più gravi se associate ad altre, anche se afferenti ad organi diversi;

5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti, ai fini della liquidazione;

6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:

a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito) e convertendola in denaro;

b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100%, in tutti quei casi in cui le patologie pregresse, di cui il danneggiato era portatore, non gli impedivano di condurre una vita normale;

c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo dal valore (b);

7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva, ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.

Per quantificare il danno bisogna tener conto di tutte queste variabili!

BIBLIOWEB:

Corte di Cassazione – III sezione – Sentenza n° 32657/2021 (PDF allegato)
Danno iatrogeno “in itinere” https://newmicro.altervista.org/?p=8932
Gli errori dei medici ricadono sull’ASL https://newmicro.altervista.org/?p=8826
La colpa è una somma di elementi https://newmicro.altervista.org/?p=8656
Il Danno è complessivo https://newmicro.altervista.org/?p=8557
Responsabilità di più medici: la tempistica  https://newmicro.altervista.org/?p=8270
Consenso Informato e danni richiedibili https://newmicro.altervista.org/?p=8183
Responsabilità medica della struttura sanitaria https://newmicro.altervista.org/?p=8106
Corretta qualificazione della condotta https://newmicro.altervista.org/?p=7502
Perché la Gelli https://newmicro.altervista.org/?p=6665
Cassazione: conta anche la situazione del paziente https://newmicro.altervista.org/?p=5349

 Corte di Cassazione – III sezione – Sentenza n° 32657/2021 (PDF)

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Francesco Bondanini

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