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Consulenze e Nesso di causalità

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Consulenze e Nesso di causalità
(Last Updated On: 7 dicembre 2021)

Corte di Cassazione sez IV Penale s.n. 24895 30 giugno 2021

Medico consulente o medico di reparto “pari sono” per la Corte di Cassazione. Quest’ultima ha affermato che il medico che, all’interno di una struttura sanitaria ospedaliera, venga chiamato per un consulto specialistico ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, quindi non può esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione, dovendo fare – in virtù del cd “contatto sociale” – tutto ciò che è nelle sue capacità, per la salvaguardia dell’integrità del paziente.

Secondo la Cassazione, sentenza del 30 giugno 2021 n. 24895, la condanna va annullata se il giudice, oltre ai profili di colpa, non ricostruisce correttamente il rapporto di causalità ed il  comportamento alternativo corretto, esigibile sui sanitari intervenuti sul paziente in tempi diversi. L’obbligo di diligenza, che grava su ciascun componente dell’equipe medica, concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, ossia rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio.

Nel caso in cui l’obbligo di impedire l’evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone, obbligate ad intervenire non contestualmente, bensì in tempi diversi, l’accertamento del nesso causale deve essere compiuto  con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti, fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti.

Il ricorso ripropone, come principale argomento difensivo, un tema già affrontato negli anni dalla Corte di legittimità, ossia quello dell’affidamento in ipotesi di cooperazione multidisciplinare. Il tema è: doveva e poteva il medico del pronto soccorso, che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega, attivarsi motu proprio rispetto ad indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite? Doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione, quanto prima, della terapia antibiotica? Sussiste la responsabilità del medico che ha chiesto il consulto anche se concorre quella del collega, che il consulto ha fornito? La risposta a tutti i quesiti è SI.

Il Fatto. In un primo ospedale, all’ingresso con codice di accesso giallo, una paziente non veniva correttamente curata dal personale medico del Pronto Soccorso, sia di turno che consulente (in contrasto alle linee guida previste per la meningite dal Ministero della Sanità 2014 che prescrivono, al fine di prevenire le gravi complicazioni, che la diagnosi e le terapie siano tempestive). Nei confronti del ricorrente vi è stata una doppia conforme affermazione di responsabilità, mentre il neurologo era stato assolto in primo grado.

I due medici, in cooperazione colposa tra loro mediante le condotte ed i rispettivi ruoli, cagionavano alla Paziente una lesione personale tale da porre in pericolo la vita della stessa (accertato dal personale medico del secondo Ospedale, ove giungeva in coma), da cui derivava deficit udivo, quale conseguenza della meningite pneumococcica, malattia non prontamente diagnosticata nel primo ospedale.

La Cassazione sottolinea come il medico di pronto soccorso, avendo preso in carico la paziente, è tenuto a «coordinare i risultati della consulenza neurologica con il complesso dei dati a propria disposizione», considerato che «è preciso obbligo del medico gerente, che richieda una consulenza e che ne ottenga gli esiti, coordinare questi ultimi con il complessivo quadro sintomatico ed anamnestico in propria conoscenza, onde pervenire a diagnosi e terapia». La colpa del secondo non esclude certo quella del primo, ma piuttosto ad essa si somma.

Il medico del P.S., cardiologo, pur apprendendo la diagnosi formulata dal neurologo, non effettua la rachicentesi né attua la terapia antibiotica generale disposta, né rivaluta, al momento delle dimissioni della paziente (per tre volte) la priorità di Triage, da codice giallo a codice rosso, nonostante le condizioni critiche in cui versava, tant’è vero che precipitata poi in coma, la donna viene classificata in codice rosso.

Il medico neurologo visita la paziente, pur rilevando rigor nucale e decubito sul fianco, consiglia una terapia adatta a meningite (tardivamente e telefonicamente: emocoltura e terapia antibiotica con Rocefin 4g, Ampital 4g e Decadron 8 mg ev), senza tuttavia controllare che la somministrazione farmacologica venga effettivamente posta in essere  e senza prelevare del liquor per la coltura e per di più senza fare alcuna diagnosi, limitandosi a prescrivere antibiotico terapia (che non viene somministrata).

Tra le 20.30 e le 22.30, il ricorrente, seguendo le istruzioni del collega neurologo, cercava ripetutamente di trasferire la paziente presso una struttura idonea, dotata di reparto per malattie infettive, ma la ricerca della stessa richiedeva molto più tempo del previsto, soprattutto per la lunga attesa di conferma telefonica da parte dei vari reparti contattati.

I princìpi cui si ispira la verifica della Cassazione, sono quelli enucleabili dalla nota sentenza delle Sezioni Unite “Franzese” (Sez. Un. n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, Rv. 222139) che possono così riassumersi:

1. il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica — universale o statistica — si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico, la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;

2. non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale. Il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo, con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”;

3. l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio, sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio in base all’evidenza disponibile sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva, rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio;

4. alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità, è assegnato il compito retrospettivamente di controllare la razionalità delle argomentazioni giustificative — la cd. giustificazione esterna — della decisione, inerente ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio, che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare.

Le Sezioni Unite “Franzese” hanno ripudiato, dunque, qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici, ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica. La sentenza impugnata non supera il vaglio di legittimità perché, tradendo evidentemente il retropensiero della difficoltà di provare che l’ipoacusia sia dipesa dalle due ore di ritardo nella somministrazione dell’antibiotico, da parte dei due ricorrenti, allarga illegittimamente il campo dell’evento affermando: “Occorre precisare che l’evento rispetto al quale accertare il nesso causale è costituito non solo dalla ipoacusia, conseguenza permanente che la meningite ha lasciato sulla Paziente, ma anche dalla malattia, la quale ha subito un lungo periodo di coma e poi di riabilitazione”.

L’evento concreto è dunque la malattia così come hic et nunc verificatasi, nella sua complessiva manifestazione, nella sua dimensione temporale e nei postumi. Il dibattimento ha dimostrato con certezza il rilievo eziologico della condotta colposa del medico di PS, rispetto all’evento. Tutti i consulenti tecnici hanno infatti sostenuto che, secondo elevati coefficienti probabilistici, “…prima vengono somministrati gli antibiotici, migliore è il decorso della malattia, più tardi vengono somministrati, peggiore è il decorso“.

BIBLIOWEB:

Corte di Cassazione Sez IV Penale, sentenza n. 24895 del 30 giugno 2021 (in PDF allegato)
Gli errori dei medici ricadono sull’ASL https://newmicro.altervista.org/?p=8826
La colpa è una somma di elementi https://newmicro.altervista.org/?p=8656
Il Danno è complessivo https://newmicro.altervista.org/?p=8557
Responsabilità di più medici: la tempistica https://newmicro.altervista.org/?p=8270
Il diritto a rifiutare le cure mediche https://newmicro.altervista.org/?p=8227
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 Corte di Cassazione Sez IV Penale, sentenza n. 24895 del 30 giugno 2021 (PDF)

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Francesco Bondanini

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